La mission parte (e finirà) a Windhoek, la capitale della Namibia. Qui ritiriamo i nostri HiLux 4×4 con tenda sul tetto, facciamo scorta di viveri e benzina e ci spariamo la prima notte in città per carburare.
La mattina successiva, dopo colazione, puntiamo dritti verso sud-ovest: destinazione Sesriem. Qui non c’è praticamente nulla, se non il nostro campsite e un cancello che la mattina dopo si aprirà come le porte del paradiso, davanti al regno delle dune: Sossusvlei.
All’alba entriamo nel deserto più fotografato del mondo: 60 km di asfalto e 5 km di sabbia profonda (sgonfiamo le gomme e via di slalom per non infossarci). Arrivati al parcheggio, il menù è chiaro: scalare Big Daddy, buttarsi su Big Mama, oppure girovagare tra gli alberi secchi e surreali di Deadvlei, quel cimitero vegetale che sembra uscito da un film fantasy.
Se al ritorno non ci piantiamo nella sabbia, raggiungiamo Solitaire, che di fatto è una pompa di benzina con cimitero di carcasse arrugginite, un minuscolo ristorante e una bakery leggendaria. Sembra un posto dimenticato da Dio, ma qui si serve la Apple Tart più famosa di tutta la Namibia. Obbligo morale assaggiarla, magari con una Windhoek Lager fresca.
Il giorno dopo risaliamo verso la costa e arriviamo a Walvis Bay, dove ci concediamo addirittura due notti in cottage (un lusso incredibile dopo giorni di tenda e polvere). La prima mission: dune drive fino a Sandwich Harbour, dove il deserto si tuffa nell’oceano in un contrasto pazzesco tra dune arancioni e Atlantico blu.
Il giorno successivo, avventura più acquatica: kayak a Pelican Point, in mezzo a colonie di foche che non hanno nessuna intenzione di rispettare le distanze di sicurezza. Per chi se la sente, ci si arriva guidando direttamente sulla sabbia; per gli altri, c’è sempre un passaggio sui mezzi dei local.
Dopo il kayak, andiamo alla colonia di otarie più grande del mondo a Cape Cross e chiudiamo a Swakopmund, la cittadina più “tedesca” della Namibia, con casette coloniali e birrerie. Dopo una cena e una dormita in riva all’oceano ci scateniamo con il sandboarding o laydown boarding nel deserto più antico del mondo, prima di goderci uno spuntino con birra offerti dagli amici dell’organizzazione.
Lasciata la costa, torniamo all’interno con una tappa epica: lo Spitzkoppe, il “Cervino africano”. Un gigantesco monolite granitico che spunta dal nulla e che nasconde pitture rupestri come il celebre Bushman Paradise. Qui si sceglie: arrampicata sul Pontok (500 m di dislivello, fattibile ma sudato), scalata fino in cima allo Spitzkoppe (700 m, con tratti di arrampicata), oppure esplorazione fotografica per chi preferisce conservare ginocchia e fiato.
Per non sfinirci, facciamo una notte a Uis, piccola cittadina-miniera in mezzo al nulla, utile per ricaricare le batterie e affrontare la seconda parte del viaggio.
La mattina dopo puntiamo al Brandberg, la montagna più alta della Namibia: una cupola granitica formata milioni di anni fa da un’intrusione magmatica. Qui ci aspetta un trekking tra pitture rupestri preistoriche, compresa la mitica e controversa Dama Bianca, che ha fatto discutere archeologi di mezzo mondo.
Dopo le montagne e le grotte, risaliamo verso Kamanjab, dove passiamo la notte, e poi entriamo nell’Etosha National Park dal Galton Gate (ovest).
Ora inizia la vera full immersion: safari self-drive tra pozze d’acqua che attirano branchi di zebre, elefanti, giraffe, antilopi e predatori di ogni tipo. Arriviamo fino a Okaukuejo, famoso per la sua waterhole illuminata: un cinema naturale che la sera offre spettacoli con rinoceronti, iene e, se siamo fortunati, persino leopardi.
La mattina dopo si riparte: da Okaukuejo ci muoviamo verso est, senza alcuna fretta. Ogni dieci minuti un avvistamento, ogni curva una foto. Nel pomeriggio arriviamo ad Halali, il campo centrale dell’Etosha, dove passeremo la notte. La sua pozza è forse la più incredibile del parco: con un po’ di fortuna ci si ritrova davanti rinoceronti e leopardi a distanza ravvicinata.
Il giorno dopo concludiamo la traversata fino al Namutoni Gate. Pochi chilometri, ma carichi di animali e paesaggi: si finisce comunque per arrivare al tramonto, stanchi ma con gli occhi strabuzzati e le schede di memoria sature.
Subito fuori dal parco ci accoglie l’Onguma Game Reserve, riserva privata dove ci concediamo un safari al tramonto con brindisi finale nella savana, come ciliegina su una torta già epica.
Ultima tappa: il Waterberg Plateau, una montagna a tavola che si alza improvvisamente dalle pianure dell’Omaheke.
Qui possiamo scegliere: trekking all’alba fino alla vetta per godere una vista infinita sulla savana, passeggiata più rilassata nella pianura a caccia di rinoceronti, oppure semplicemente dormire fino a tardi, colazione lenta e relax.Dopo giorni serrati, anche questa è un’opzione dignitosa.
Questa è la chiusura perfetta: natura, panorami e animali.
E poi – purtroppo – si torna a Windhoek, chiudendo il cerchio di questa mission incredibile tra deserti, montagne, fauna selvaggia e (soprattutto) avventure da raccontare per anni.